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Storia del calcio- gli anni 30

Gli anni 30



Gli anni Trenta del calcio italiano sono anni di gloria. Nel breve arco del quadriennio compreso tra il '34 e il '38, la nazionale italiana guidata dal "sergente" Vittorio Pozzo domina nelle due competizioni più importanti dell'epoca: il Campionato mondiale e le Olimpiadi. Alle quali vanno aggiunte due coppe Internazionali, che arrivano nel 1930 e nel 1935.
La prima è conquistata battendo a Budapest, col risultato di 5 a 0, la fortissima Ungheria. Mattatore della partita è Giuseppe Meazza, soprannominato "balilla", che sigla tre reti. E' dotato di una classe sopraffina, che sfodera sin dalle prime escursioni, praticamente bambino, su un campo da calcio. Per l'esordio in una partita ufficiale, con l'Inter, Meazza non dovrà attendere l'età adulta: a soli diciassette anni debutta in prima quadra. E' il 1927, e gli adolescenti di allora sono tutti "balilla". Così infatti lo appella un dirigente della squadra milanese che contesta all'allenatore, il magiaro Weisz, la decisione di far debuttare nella massima serie un giocatore certamente bravo, ma ancora inesperto: "Adesso facciamo giocare anche i "balilla"", commenta polemico. Ma quel ragazzino gli darà torto.
Grazie a lui, l'Ambrosiana Inter - come accennato nel precedente articolo - vince il campionato per club del '30, il primo a girone unico. E sempre grazie a lui, la nazionale s'imporrà all'attenzione del mondo vincendo praticamente tutto quel che viene messo in palio negli anni che precedono la seconda guerra mondiale. Tra gli azzurri, però, Meazza può contare sull'apporto di un altro campione, che con il "balilla" costituirà la coppia d'oro di quegli anni eroici. Si chiama Silvio Piola, gioca da centravanti e fa così bene il suo mestiere da raggiungere il titolo di recordman assoluto (in Italia) in fatto di realizzazioni: 395 gol in 24 anni di carriera, che conclude a ben 41 anni, età da matusalemme per un attaccante, solito alla pensione intorno ai 32 anni.
Insieme, fanno della nazionale di Pozzo la compagine più temuta a livello, se non mondiale, certamente europeo. L'impossibilità, per l'Italia, di affermare il proprio valore a livello planetario non è dovuta tanto alla presenza di una squadra sudamericana nettamente superiore all'"undici" azzurro, quanto alla distanza fisica che l'Oceano Atlantico pone tra i paesi latinoamericani e l'Europa, che impedisce un completo confronto tra le relative scuole calcistiche. Lo si capisce se si guarda alla prima edizione dei Mondiali, giocati in Uruguay nel 1930 e vinti dalla nazionale dello stesso Paese: di tredici squadre partecipanti, solo quattro sono europee (Jugoslavia, Francia, Romania e Belgio); le altre nove, ovviamente, americane (oltre al Paese ospite, giocano Stati Uniti, Argentina, Messico, Bolivia, Brasile, Cile, Perù e Paraguay).
Rimangono nel "vecchio continente", oltre all'Italia, l'Inghilterra, e cioè la squadra degli inventori del calcio, e le tre esponenti di quella scuola del football che passerà alla storia

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