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Arrigo Sacchi

L'Ayatollah del calcio


Nel 1987 Berlusconi (neopresidente del Milan) chiama sulla panchina della squadra un giovane e semisconosciuto allenatore: Arrigo Sacchi.
Sacchi si era fatto notare proprio a Milano in una partita di coppa Italia, quando il suo Parma (allora in serie B) aveva messo in grosse difficoltà il Milan di Liedholm.
In quegli anni le squadre di serie A giocavano in modo molto tradizionale: due marcatori fissi, un libero, due cursori sulle fasce ecc ecc.
Il Parma, invece, andava nettamente e coraggiosamente controcorrente: 4-4-2 e giocatori duttili e utili sia in fase difensiva che in quella offensiva.
Approdato al Milan nella stagione 87/88, non rinnegherà affatto il suo credo.
Anzi, proprio con i rossoneri il suo modulo prediletto darà i risultati più grandi.
Il progetto di Arrigo si basa su una squadra composta da giocatori importanti e partecipi in fase difensiva e offensiva, perciò la collaborazione, la cooperazione e la conseguente umiltà (anche i campioni si sacrificano allo schema) sono elementi essenziali.
Sacchi ha anche la fortuna di trovare nel Milan giocatori straordinari non solo in campo, ma anche sotto il profilo umano: campioni come Baresi, Costacurta, Ancellotti pur essendo già affermati adottano la filosofia del loro mister dando l'esempio in campo di quanto può essere importante la collaborazione e il sacrificio per la squadra.
Una volta capita la parte teorica, rimane quella pratica: Sacchi vuole una squadra che imposti e imponga il proprio gioco, che aggredisca l'avversario e lo obblighi a sottostare al proprio ritmo.
La soluzione è semplice quanto rivoluzionaria: il calcio totale dell'Olanda di Crujff, il pressing asfissiante, le ripartenze fulminanti.
La squadra che ha in mente, una volta andata in vantaggio non si risparmierà, ma contunuerà ad attaccare con la stessa intensità, perchè l'unico modo di giocare che conoscerà sarà il calcio offensivo.
Per realizzare questo progetto si intensificano le sedute di allenamento a Milanello, si mandano a memoria schemi e movimenti provando e riprovando fino allo nausea situazioni di gioco.....
Il risultato è il Milan che tutti ricordiamo, che macinava gioco ed avversari, che vinceva coppe dei Campioni per 4-0, cercando di segnare la quinta rete anche allo scadere dei 90 minuti regolamentari.
Si è molto parlato di quel Milan come il capostipite di tutte le formazioni che, negli anni seguenti, hanno praticato il fuorigioco, ma Sacchi proponeva una zona particolare: diversamente dalla zona praticata dal Milan di Liedholm, Sacchi non puntava su un possesso palla troppo prolungato e la copertura degli spazi, preferendo lavorare sulla zona-press in cui l'intensità ed il ritmo sono elementi prioritari.
Il Milan di Sacchi raggiunge vette di perfezione per quanto riguarda il sincronismo dei movimenti in campo e si potrebbero passare ore a riguardarsi le partite per cogliere la spettacolarità del movimento dei giocatori che accorciano o allungano gli spazi a seconda della situazione di gioco.
Altro punto su cui Sacchi lavorò molto fu il movimento senza palla: fu una rivoluzione copernicana!
Prima dell'avvento di Sacchi al Milan, anche in serie A il movimento che gli allenatori curavano maggiormente era quello del portatore di palla, i suoi compiti e le sue capacità erano primarie.
Questo anche perchè il calcio a quei tempi era dominato da marcature fisse, perciò le partite si risolvevano spesso in duelli tra attaccanti e marcatori: era il portatore di palla che aveva il compito di trovare un compagno libero, mentre il marcatore doveva togliergli palla.
In questa maniera il calcio era poco collaborativo, non era un vero e proprio movimento corale, per questo Sacchi curava con molta attenzione i movimenti degli uomini senza palla, che proponendosi con i loro scatti e movimenti offrivano più possibilità al portatore di palla stesso, partecipavano attivamente alla manovra d'attacco e rendevano spettacolari le azioni offensive.
La squadra si schierava, dunque, con quattro difensori in linea (sparisce il libero), con due marcatori centrali e due esterni che difendono e,allargandosi, ripropongono e fanno ripartire l'azione.
Il centrocampo è a diamante con un trequartista e un interditore, mentre le punte giocano ravvicinate per crearsi spazi grazie ai loro movimenti.
Sacchi pretende che alla fase divensiva partecipino tutti, gli avversari vanno attaccati dal momento che prendono palla, senza aspettare che arrivino nella propria trequarti.
Il lavoro dei giocatori senza palla deve essere martellante, il pressing deve risultare asfissiante e il reparto difensivo deve essere pronto a salire per accompagnare l'azione dei compagni e agevolare il fuorigioco.
Gli avversari, i primi tempi, non abituati ad essere attacati in tutte le zone del campo, trovano grosse difficoltà a costruire le azioni, perdendo i punti di riferimento e finendo per essere soffocati dal ritmo imposto dai rossoneri.
Questo modulo di gioco ha sempre avuto una sola controindicazione: mettere lo schema al di sopra dei campioni.
Tutti erano importanti per il progetto, ma nessuno aveva compiti speciali o privilegi, tutti dovevano sacrificarsi e tutti, grazie al movimento senza palla, potevano arrivare al goal.
Dopo l'avvento di Sacchi il calcio italiano non è più stato lo stesso: parole come "pressing", "ripartenze", "zona alta" ecc, sono diventate patrimonio di tutto il movimento.
La nuova filosofia, portata dall'allenatore di Fusignano, ha modificato profondamente l'idea di calcio nella nostra penisola: metodi di allenamento moderni, visione della squadra come unico organismo, il mutuo soccorso degli atleti in campo....... la "mentalità" vincente del team.
Queste sono le eredità di Sacchi, l'allenatore che più degli altri, negli ultimi decenni, è stato capace di innovare il nostro campionato.

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