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Bora Milutinovic

L'allenatore giramondo


C'è un allenatore che ha girato il mondo, lasciando dietro di se una scia di imprese e di bei ricordi.
Quest'uomo cosmopolita (è un vero cittadino del mondo) è Bora Milutinovic, ct di origine jugoslava ma da tempo cittadino messicano (ha sposato una messicana e scelto la cittadinanza dello stato centro-americano).
I giornali lo chiamano in mille modi: lo zingaro, il giramondo del calcio, l'uomo delle missioni impossibili......... di certo Milutinovic è un personaggio!
Abituato ad accettare le sfide più ardue, pronto a portare alla ribalta squadre dal modestissimo palmares, Bora è riuscito a vincere l'ennesima scommessa: portare ai mondiali la Cina.
Le imprese eclatanti di Milutinovic iniziano proprio con la nazionale del suo paese adottivo: il Messico ai mondiali del 1986 (organizzati in casa) è la vera rivelazione e si ferma solamente ai quarti di finale contro un avversario forte e titolato come la Germania (alla fine vicecampione).
Nei mondiali dell'86 la squadra di Milutinovic supera brillantemente il proprio girone di qualificazione e si libera agevolmente della Bulgaria negli ottavi di finale, ma la sfida con la Germania si rivela fatale: il Messico si difende ordinatamente, costringendo i tedeschi prima ai supplementari e poi ai rigori.
E proprio la lotteria dei rigori estromette i padroni di casa dalla competizione: è comunque il miglior risultato (insieme allo stesso piazzamento conseguito nel 1970 sempre in casa) che il Messico raggiunge nella kermesse mondiale.
Dopo questa esperienza, Milutinovic lascia l'incarico da Ct della squadra messicana, ma non è ancora considerato un grande allenatore, l'opinione degli addetti ai lavori è che sia un tecnico singolare, estroso e nessuno è disposto a proporgli una panchina importante.
Arriva perciò l'offerta del Costarica, una nazione senza tradizione calcistica: l'impresa della qualificazione mondiale sembra stavolta troppo ardua per il simpatico Bora, invece............ nel 1990 i mondiali italiani vedono la partecipazione di una compagine di sconosciuti, capitanati da un uomo dall'aspetto guascone e dal ciuffo ribelle che rilascia dichiarazioni giudicate bizzarre e spregiudicate (Milutinovic parla subito di passaggio del turno).
Presto gli addetti ai lavori devono ricredersi: il Costarica, schierato con un solido 4-4-2, esordisce battendo la Scozia, cede di misura al Brasile e conquista il passaggio del turno sconfiggendo 2-1 la Svezia.
In un girone considerato proibitivo, i ragazzi di Bora ottengono ben 6 punti e sono considerati la più grande sorpresa del torneo.
Il sogno del Costarica si interrompe agli ottavi, davanti ad una Cecoslovacchia in buona giornata.
Milutinovic lascia e torna a casa, attendendo una chiamata più prestigiosa per la prossima avventura.
E la chiamata arriva: gli Stati Uniti devono ospitare il mondiale del 1994 e non vogliono fare brutte figure.
Bora lo zingaro rifà nuovamente le valige e parte alla conquista dell'ennesima impresa.
I dirigenti americani chiedono al tecnico slavo il passaggio del turno, così Milutinovic inizia il suo lavoro: per 3 anni gira gli States in lungo e in largo, visiona centinaia di partite di college, ma il materiale umano a sua disposizione è scarso, il campionato professionistico non è mai decollato (e anche negli anni seguenti stenta a prendere piede, il soccer negli USA rimane sport prevalentemente femminile).
La squadra a stelle e strisce raggiunge l'obiettivo prefissato, ma in modo tutt'altro che brillante: ripescati come migliori terzi, si imbattono nel Brasile (che vincerà la coppa) e vengono travolti per 4-0 dai maestri sudamericani.
Altro mondiale, altra chiamata: in vista di France 98 è la federazione nigeriana a richiedere i servigi del giramondo.
Quest'esperienza è forse quella che più entusiasma il "vecchio ragazzo": ha a disposizione una squadra ricca di talenti, ragazzi forti tecnicamente e dai grandi mezzi fisici.
A Lagos (capitale nigeriana) Milutinovic trova una situazione molto delicata: il regime militare che controlla la Nigeria stenta a mantenere l'ordine, la squadra si allena sotto il controllo delle milizie.......... insomma, l'ambiente non è dei più sereni.
Inoltre la delusione di quattro anni prima negli Stati Uniti (eliminazione per mano dell'Italia, ricordate le magie di Baggio?) rende il regime insistente nei confronti del Ct: i generali vogliono che le Super-Eagle ben figurino in Francia.
Milutinovic deve risolvere il problema dell'amalgama di gruppo: i giocatori nigeriani giocani in mille nazioni diverse ed in nazionale hanno la sconsiderata abitudine a cercare lo spunto personale piuttosto che il gioco di squadra.
Il mondiale francese si apre nel migliore dei modi: la nazionale africana batte la Spagna (concorso di colpa di Zubizzarreta, portiere spagnolo decisamente non in giornata) e si accendono subito gli entusiasmi.
Seconda partita (Bulgaria) e seconda vittoria: qualificazione conquistata e la stampa sportiva si entusiasma.
Sembra che Milutinovic abbia compiuto l'ennesima magia: riuscire nell'intento di coniugare l'immenso talento dei vari Okocha, Amokachi, Finidi e Oliseh con un gioco corale ed un vero spirito di squadra.
Tutte le grandi cominciano a temere la Nigeria e a sperare di evitarla negli scontri ad eliminazione diretta: la squadra delle Super-Eagle è una mina vagante, veloce, fantasiosa, potente e finalmente anche disciplinata.
Tocca alla Danimarca la patata bollente. Ma si sa, il lupo perde il pelo ma non il vizio: i danesi demoliscono la squadra africana, tornata l'allegra armata anarchica di un tempo.
In campo i giocatori fanno quello che gli pare, si avventurano in dribbling impossibili piuttosto che passare ad un compagno.
Bora Milutinovic osserva la debaclè dalla panchina, quasi incredulo che i suoi giocatori stiano distruggendo in una serata di follia quanto di buono avevano costruito.
Questa è forse la più grande delusione della carriera di Bora: mai aveva avuto a disposizione un gruppo così forte, giocatori di così alta caratura tecnica e vederli perdersi in maniera così plateale al primo appuntamento davvero importante deve essere stato un brutto colpo.
Seguono varie peregrinazioni: allena il San Lorenzo in Argentina ed i Metrostars a New York, ma il suo ruolo è quello da Ct, da selezionatore non da allenatore di club (lo dimostra anche la breve parentesi da allenatore in Italia, dove fu esonerato dall'Udinese che, nella durissima serie B, schierava con uno spregiudicato modulo offensivo).
Dopo una brevissima parentesi alla guida del "suo" Messico, arriva la chiamata da Pechino.
E' l'ennesima "mission impossible" e Bora non sa rifiutare una sfida.
La Cina è cambiata: lo stile di vita occidentale è ormai un modello acquisito, a cui si guarda con curiosità e voglia di omologazione.
Questa passione per l'occidente porta in dote anche la follia per il soccer: gli stadi dove si disputa il campionato sono sempre pieni di tifosi e la nazione più popolosa del mondo non ha certo carenza di vivaio.
Il cammino di avvicinamento al mondiale inizia con una minuziosa ricerca di informazioni: le squadre asiatiche da affrontare sono composte da sconosciuti, non si sa come giocano nè gli schemi che applicano.
Bora visiona decine e decine di videocassette, inizia l'ennesimo tour dei campi di calcio alla ricerca di giocatori da convocare in nazionale.
Una volta individuati i giocatori più dotati, seleziona i migliori e li porta in una lunga turneè in Europa, per confrontarsi con il calcio che conta.
Ma, nonostante le prestazioni nel girone di qualificazione ai mondiali siano ottime, basta un mezzo passo falso (un deludente torneo delle nazioni organizzato in casa) per mettere in discussione la posizione di Milutinovic: la stampa locale si scatena, vorrebbe un cinese sulla panchina della nazionale e le critiche si sprecano.
La federazione tiene duro, non esonera il tecnico slavo e resiste alle pressioni.
La scelta si rivela vincente: l'8 ottobre 2001 resterà nella storia, la Cina si qualifica per i mondiali grazie al gol di Yu Genwey che vale la vittoria contro l'Oman e la prima storica promozione della Cina alla fase finale di un mondiale.
I giornali dedicano la prima pagina all'evento, che ha scalzato anche le tristi e drammatiche notizie della guerra in Afghanistan dai titoli principali.
Il quotidiano di Pechino (Beijing Youth Daily), titola a quattro colonne "Coppa del Mondo, eccoci!", evidenziando come fossero occorsi 44 anni, sei fallimenti e diverse generazioni che hanno tentato inutilmente l'assalto alla fase finale dei mondiali per approdare alla competizione più prestigiosa.
Folla nelle strade, scene di gioia, caroselli di auto......... sembra proprio che il soccer abbia sfondato in oriente.
Milutinovic è osannato, considerato un eroe e tutti hanno dimenticato le cattiverie dette sul suo conto: che non facesse allenare i suoi ragazzi, che non avesse le idde chiare ecc ecc.
Ma proprio lui, pur godendosi la festa, si ricorda l'amaro destino dei ct, ben cosciente che oggi è acclamato come vincitore, ma che se avesse fallito la qualificazione sarebbe stato gettato dalla grande muraglia.
Il prossimo sogno di Bora si chiama Korea-Giappone 2002, la sua squadra parte da outsider e gli esperti dubitano possa passare il primo turno, ma il buon vecchio Milutinuvic ci ha abituato alle sorprese, perciò non ci resta che seguire le partite della Cina e vedere cosa l'allenatore giramondo tirerà fuori dal cilindro.

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