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Il mondiale del 1950

Fa da spartiacque nella storia del calcio



Sembra la fine dell'Uruguay, ma le cronache del tempo - con tutta l'enfasi del caso - narrano di una scena, immediatamente successiva al gol, che odora di epico. Il centrale difensivo uruguayano, Obdulio Varela, lentamente si avvia verso la propria porta e vi raccoglie il pallone. Se lo mette sotto braccio e senza alcuna fretta, squadrando con lo sguardo ogni angolo festante dello sterminato Maracanà, si dirige a centrocampo, dove posiziona la palla sul dischetto e attende il fischio dell'arbitro per ricominciare il gioco.
Quella camminata sicura, quello sguardo di sfida verso l'orda carioca in festa sono un'iniezione di carburante per i suoi compagni, che ci mettono anima e cuore e ribaltano il risultato. Finisce 2 a 1 per l'Uruguay, con gol di Schiaffino e Ghiggia. Il carnevale che la "torcida" brasiliana ha organizzato per festeggiare un titolo creduto già vinto si trasforma in tragedia: centinaia di suicidi si susseguono nelle ore successive al match. Lo stesso Varela, che spende la notte dei festeggiamenti passando da un locale all'altro di Rio, comprende il dolore dei tifosi sconfitti e interrompe la sua festa, che giudica ingiustificata di fronte alla dimensione della sconfitta brasiliana.
Volendo ipotizzare una filosofia del calcio, il mondiale del '50 fa da spartiacque. E' quello il momento, infatti, in cui questo sport comincia a perdere la sua innocenza e comincia a essere sempre meno gioco e sempre più fenomeno sociale, di costume e business. E' un fenomeno irreversibile, che cresce col tempo favorito da una serie di elementi tra i quali, importantissimo, l'avvento della televisione, che comincia a trasmettere le prime partite nel 1954 in occasione dei mondiali che si giocano in Svizzera. E che contribuisce a creare il mito delle prime grandi icone di questo sport: lo spagnolo Alfredo Di Stefano e l'ungherese Ferenc Puskas (che insieme fanno del Real Madrid, tra il '56 e il '60, la squadra capace di vincere cinque Coppe dei campioni consecutive), ma soprattutto il brasiliano Pelè, ancora oggi da molti considerato il più forte di calciatori di tutti i tempi, autore nella sua carriera di più di mille gol.
Il football, quindi, si sgancia sempre più dalla storia politica e militare dell'uomo per costruire una propria storia. Dal'50, insomma, comincia una nuova era per il calcio mondiale, fatta di uomini che ne alzeranno il livello del gioco fino a fargli toccare vette inarrivabili per tattica e classe dei suoi attori; fatta, appunto, di giocatori che si trasformano in attori professionisti di un circo mediatico sempre più attento alla vicende delle società calcistiche.
Un periodo d'oro, in cui la commistione tra capacità atletiche e parentesi di mondanità darà vita a un cocktail equilibrato e gustoso. Di questa miscela racconteremo il mese prossimo, a partire dagli anni Sessanta e dalla grande Inter di Helenio Herrera.

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